Le immagini che la nostra mente partorisce mentre sogniamo sono per Socrate la prova che
l’anima ha in sé qualcosa di divino, e che l’esperienza onirica è esperienza dell’anima e non
del corpo che, mentre sogna, è prigioniero di una morte apparente e di una sospensione di
volontà.
Gli antichi guardavano al sogno in funzione del domani, come profezie o premonizioni. E se il sogno antico illuminava gli avvenimenti futuri del mondo esterno, quello freudiano illumina gli avvenimenti passati del mondo interno. Arriviamo al 1900 anche se Freud finì di scrivere L’interpretazione dei sogni nel 1899, ma è il 1900 a figurare come data di pubblicazione, chissà se sperando o sapendo che le sue idee avrebbero segnato il nuovo secolo.
E’ in questo testo-simbolo che abbiamo imparato che "l’interpretazione dei sogni è la via regia che porta alla conoscenza dell’inconscio”. Una delle cose più belle del racconto freudiano sui sogni è che Freud parte proprio dai suoi: il sogno è un fenomeno psichico dotato di senso e che attraverso una tecnica (appunto l’interpretazione), è possibile far emergere i significati del sogno, apparentemente indistinti e sommersi o come li chiama lui, latenti.
Che vuol dire interpretare i sogni secondo Freud? E’ un lavoro congiunto dove paziente e analista insieme risalgono a pensieri censurati o abbandonati all’oblio poichè dolorosi o riprovevoli, legati magari ad esperienze infantili precoci o a bisogni o desideri del passato “che sembrano risalire da un vero e proprio inferno”. E Jung? l’allievo ribelle? La sua impronta collettiva fagocita anche la dimensione onirica, e dunque quando si sogna il sogno porta con sé anche i contenuti collettivi, con tutte le loro immagini universali e primordiali. Per Jung la narrazione del sogno ha una struttura costante: sviluppo, culmine e soluzione; ciascuno mette in scena sé stesso, unico interprete di tutti i personaggi in scena.
Continuando sulla linea del tempo e sull’evolversi clinico dei sogni, l’idea del contenuto manifesto e latente freudiano cade in disgrazia. Si potrebbe affermare che con l’evolversi della psicoanalisi la materia-sogno diventa sempre più complessa. James Fosshage ha formulato un “Modello Organizzativo del Sogno” condividendo con il mondo il suo pensiero: l’attività onirica è rivolta a restaurare un senso di sé positivo e coeso. In altri termini, i sogni svolgerebbero un ruolo primario nella conservazione e integrazione della nostra identità e, volendo fare un esempio, se durante il giorno sentiamo di non essere riusciti a manifestare la nostra rabbia, il sogno potrebbe cercare di ristabilire un equilibrio emotivo.
Ma oggi cosa possiamo dire su quel che resta dell’Interpretazione dei sogni?
L'esperienza terapeutica in generale insegna che l’attività onirica può essere considerata un tentativo inconsapevole di “verbalizzare per immagini”.
Parlare in maniera completa dei processi onirici deve comprendere anche l’altra faccia della medaglia: lo studio dei sogni ormai è materia contesa tra psicoanalisi e neurofisiologia.
Impossibile a questo punto dell’excursus non citare Aserinsky, studente dell’Università di Chicago che nel 1953 stava conducendo esperimenti sul sonno dei bambini utilizzando un elettroencefalografo (EEG) per registrare l’attività cerebrale e notò che a intervalli regolari durante la notte, gli occhi dei bambini iniziavano a roteare. Sì, aveva scoperto la fase REM: Rapid Eye Movement.
Dopo di lui, molti si incuriosirono e anni dopo venne visto che l’80% degli episodi di sonno REM coincidono con un'intensa attività cerebrale e con sogni vividi. Questi avvenimenti hanno lanciato il sogno tra le braccia della fisiologia: prima di questa scoperta rivoluzionaria il cervello era considerato inattivo.
Quando dormiamo dunque il nostro cervello, non dorme.
Di norma quando siamo immersi nel sonno cambiamo posizione senza accorgercene, ma nella fase REM, come abbiamo imparato, ovvero quando l’attività del nostro cervello è più attiva, siamo più immobili; solo gli occhi vagano. Nei sogni proviamo emozioni e questa è una delle conseguenze della fase REM.
Mauro Mancia, professore di Neurofisiologia dell’Università degli studi di Milano, può vantare una sorta di doppio passaporto di due domini, quello neurofisiologico e quello psicoanalitico, e il suo libro “Sonno e sogno” diviene un testo che fa da ponte, mettendo in contatto aree diverse della conoscenza e della mente umana. Le singole emozioni, spiega il professore, sensazioni o pensieri, sono “conservati” in diverse aree del cervello e secondo alcuni studi, gli incubi possono essere considerati forme di elaborazione inconscia di materiale traumatico. Un incubo può rappresentare dunque un tentativo di elaborare un vissuto drammatico o una memoria dolorosa.
A seguito di vissuti traumatici gli individui manifestano con più frequenza incubi, disturbi del sonno e flashback durante la veglia. Negli incubi l’emozione che più ricorre è il terrore o ansia, ma ricorrono anche sentimenti come rabbia, impotenza o senso di colpa. Il sonno REM ci consente di collegare il nostro sentire interno, costituito da tracce inconsce del passato prossimo o remoto, al mondo interno, costituendo un ponte. In altre parole l’attività onirica rappresenta il tassello mancante tra i vissuti del nostro passato e l’esperienza presente. Continua Mancia, si sogna per simbolizzare e dare significati, operando una trasformazione che somiglia molto all’attività artistica.
Qual è il significato dei sogni? Perché serve sognare?
Come afferma Vittorio Lingiardi “i sogni sono intraducibili e nessuno ancora conosce la sostanza di cui sono fatti”.
Non ci resta allora che ricercare le definizioni e le letture dei grandi poeti e scienziati e trovare quella che sentiamo più nostra, nella quale potremo riconoscerci. Io ho trovato un riconoscermi in queste parole del poeta inglese Coleridge: ”quando siamo svegli sono le immagini a ispirare i sentimenti, ma quando dormiamo sono i sentimenti a ispirare le immagini. Se una tigre entra in una stanza e siamo svegli, abbiamo paura; ma se abbiamo paura e stiamo dormendo, la tigre entra nel sogno”.
Gli antichi guardavano al sogno in funzione del domani, come profezie o premonizioni. E se il sogno antico illuminava gli avvenimenti futuri del mondo esterno, quello freudiano illumina gli avvenimenti passati del mondo interno. Arriviamo al 1900 anche se Freud finì di scrivere L’interpretazione dei sogni nel 1899, ma è il 1900 a figurare come data di pubblicazione, chissà se sperando o sapendo che le sue idee avrebbero segnato il nuovo secolo.
E’ in questo testo-simbolo che abbiamo imparato che "l’interpretazione dei sogni è la via regia che porta alla conoscenza dell’inconscio”. Una delle cose più belle del racconto freudiano sui sogni è che Freud parte proprio dai suoi: il sogno è un fenomeno psichico dotato di senso e che attraverso una tecnica (appunto l’interpretazione), è possibile far emergere i significati del sogno, apparentemente indistinti e sommersi o come li chiama lui, latenti.
Che vuol dire interpretare i sogni secondo Freud? E’ un lavoro congiunto dove paziente e analista insieme risalgono a pensieri censurati o abbandonati all’oblio poichè dolorosi o riprovevoli, legati magari ad esperienze infantili precoci o a bisogni o desideri del passato “che sembrano risalire da un vero e proprio inferno”. E Jung? l’allievo ribelle? La sua impronta collettiva fagocita anche la dimensione onirica, e dunque quando si sogna il sogno porta con sé anche i contenuti collettivi, con tutte le loro immagini universali e primordiali. Per Jung la narrazione del sogno ha una struttura costante: sviluppo, culmine e soluzione; ciascuno mette in scena sé stesso, unico interprete di tutti i personaggi in scena.
Continuando sulla linea del tempo e sull’evolversi clinico dei sogni, l’idea del contenuto manifesto e latente freudiano cade in disgrazia. Si potrebbe affermare che con l’evolversi della psicoanalisi la materia-sogno diventa sempre più complessa. James Fosshage ha formulato un “Modello Organizzativo del Sogno” condividendo con il mondo il suo pensiero: l’attività onirica è rivolta a restaurare un senso di sé positivo e coeso. In altri termini, i sogni svolgerebbero un ruolo primario nella conservazione e integrazione della nostra identità e, volendo fare un esempio, se durante il giorno sentiamo di non essere riusciti a manifestare la nostra rabbia, il sogno potrebbe cercare di ristabilire un equilibrio emotivo.
Ma oggi cosa possiamo dire su quel che resta dell’Interpretazione dei sogni?
L'esperienza terapeutica in generale insegna che l’attività onirica può essere considerata un tentativo inconsapevole di “verbalizzare per immagini”.
Parlare in maniera completa dei processi onirici deve comprendere anche l’altra faccia della medaglia: lo studio dei sogni ormai è materia contesa tra psicoanalisi e neurofisiologia.
Impossibile a questo punto dell’excursus non citare Aserinsky, studente dell’Università di Chicago che nel 1953 stava conducendo esperimenti sul sonno dei bambini utilizzando un elettroencefalografo (EEG) per registrare l’attività cerebrale e notò che a intervalli regolari durante la notte, gli occhi dei bambini iniziavano a roteare. Sì, aveva scoperto la fase REM: Rapid Eye Movement.
Dopo di lui, molti si incuriosirono e anni dopo venne visto che l’80% degli episodi di sonno REM coincidono con un'intensa attività cerebrale e con sogni vividi. Questi avvenimenti hanno lanciato il sogno tra le braccia della fisiologia: prima di questa scoperta rivoluzionaria il cervello era considerato inattivo.
Quando dormiamo dunque il nostro cervello, non dorme.
Di norma quando siamo immersi nel sonno cambiamo posizione senza accorgercene, ma nella fase REM, come abbiamo imparato, ovvero quando l’attività del nostro cervello è più attiva, siamo più immobili; solo gli occhi vagano. Nei sogni proviamo emozioni e questa è una delle conseguenze della fase REM.
Mauro Mancia, professore di Neurofisiologia dell’Università degli studi di Milano, può vantare una sorta di doppio passaporto di due domini, quello neurofisiologico e quello psicoanalitico, e il suo libro “Sonno e sogno” diviene un testo che fa da ponte, mettendo in contatto aree diverse della conoscenza e della mente umana. Le singole emozioni, spiega il professore, sensazioni o pensieri, sono “conservati” in diverse aree del cervello e secondo alcuni studi, gli incubi possono essere considerati forme di elaborazione inconscia di materiale traumatico. Un incubo può rappresentare dunque un tentativo di elaborare un vissuto drammatico o una memoria dolorosa.
A seguito di vissuti traumatici gli individui manifestano con più frequenza incubi, disturbi del sonno e flashback durante la veglia. Negli incubi l’emozione che più ricorre è il terrore o ansia, ma ricorrono anche sentimenti come rabbia, impotenza o senso di colpa. Il sonno REM ci consente di collegare il nostro sentire interno, costituito da tracce inconsce del passato prossimo o remoto, al mondo interno, costituendo un ponte. In altre parole l’attività onirica rappresenta il tassello mancante tra i vissuti del nostro passato e l’esperienza presente. Continua Mancia, si sogna per simbolizzare e dare significati, operando una trasformazione che somiglia molto all’attività artistica.
Qual è il significato dei sogni? Perché serve sognare?
Come afferma Vittorio Lingiardi “i sogni sono intraducibili e nessuno ancora conosce la sostanza di cui sono fatti”.
Non ci resta allora che ricercare le definizioni e le letture dei grandi poeti e scienziati e trovare quella che sentiamo più nostra, nella quale potremo riconoscerci. Io ho trovato un riconoscermi in queste parole del poeta inglese Coleridge: ”quando siamo svegli sono le immagini a ispirare i sentimenti, ma quando dormiamo sono i sentimenti a ispirare le immagini. Se una tigre entra in una stanza e siamo svegli, abbiamo paura; ma se abbiamo paura e stiamo dormendo, la tigre entra nel sogno”.
Riferimenti bibliografici:
- M. Mancia Sogno e sonno, 1984
- V. Lingiardi Ombelico del sogno, 2023
- S.Freud Interpretazione dei sogni, 1900