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Osservare le relazioni familiari: il Lausanne Trilogue Play
A fronte delle evidenze empiriche che sottolineano l’importanza delle relazioni familiari per lo sviluppo del bambino, sono stati sviluppati diversi strumenti di osservazione e valutazione. Tra questi, il Lausanne Trilogue Play assume particolare rilevanza per la sua applicabilità a diversi contesti dì intervento e per la sua valenza valutativa e terapeutica, come viene illustrato nel corso dell’articolo.
A partire dall’elaborazione della teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1988; Ainsworth, 1978), studiosi di orientamento diverso hanno trovato un punto di incontro nel sottolineare la rilevanza del contesto relazionale per la comprensione dello sviluppo – psicopatologico e non - del bambino.  

A livello clinico è emersa quindi la
necessità di osservare non più solamente il piccolo paziente, ma anche l’intero sistema familiare, con l’obiettivo di valutare e calibrare gli interventi sulle reali risorse e fragilità di quella rete di relazioni in cui si trova immerso il bambino.  

Uno strumento prezioso sia sul piano diagnostico che su quello terapeutico è il Lausanne Trilogue Play, ideato dal Gruppo di Losanna per valutare lo sviluppo della comunicazione intersoggettiva familiare fin dalla nascita e anche nella fase pre-natale, quando i genitori si preparano ad accogliere il figlio nella coppia.
La procedura italiana, messa a punto da Mazzoni e collaboratori (2006), permette di valutare l’interazione familiare in nuclei con figli dai 2 ai 17 anni, attraverso un compito strutturato, differenziato in base all’età del bambino: costruire un oggetto con i Lego (dai 2 ai 10 anni) o inventare una storia in cui mamma e papà partono per un weekend ed il figlio rimane a casa da solo (dagli 11 ai 17 anni) .
Si propone alla famiglia di giocare per circa 20 minuti, seguendo 4 parti: nella prima, un genitore gioca con il figlio e l’altro si limita ad
essere "semplicemente presente", nella seconda i genitori si invertono di ruolo, nella terza la triade gioca insieme e nella quarta il figlio gioca da solo mentre mamma e papà parlano tra loro.  
L’interazione videoregistrata viene successivamente codificata attraverso quattro livelli, per cui ogni partecipante riceve un punteggio per ogni parte: la partecipazione (sono tutti partecipi?), l’organizzazione (ognuno rispetta il proprio ruolo?), l’attenzione focale (sono tutti attenti all’attività in corso?) e il contatto affettivo (c’è una condivisione emotiva?).
Oltre ad una valutazione del singolo membro e della singola parte si ottiene infine un punteggio globale che descrive il tipo di alleanza familiare, ovvero  la qualità delle interazioni triadiche.
  Punti di forza dello strumento diagnostico  

Numerosi sono i vantaggi dello strumento, innanzitutto in quanto metodo osservativo: non essendoci alcun “mezzo terzo” tra il clinico e la famiglia, favorisce la costruzione di una relazione meno connotata dalla distanza; permette di dar voce a bambini anche molto piccoli, o che comunque avrebbero difficoltà ad esprimere verbalmente la propria percezione di se stessi e dei familiari; consente infine di cogliere le caratteristiche della “famiglia come insieme”, senza dover ricorrere alla “somma” di valutazioni individuali.
 

La scelta di un compito strutturato permette di minimizzare le resistenze a collaborare dei partecipanti e rende possibile l’utilizzo del processo di valutazione già come strategia per promuovere una consapevolezza rispetto alle proprie modalità relazionali e, quindi, un cambiamento. Tale aspetto può essere rinforzato dalla tecnica del videofeedback: il clinico può scegliere le sequenze più rilevanti dell’interazione videoregistrata e osservarle insieme alla famiglia, mettendo così in evidenza risorse e capacità ed avviando una riflessione sugli aspetti che risultano invece più carenti.

Nell’ambito terapeutico, tale tecnica risulta utile soprattutto per il coinvolgimento attivo della famiglia già in fase di valutazione e per l’individuazione degli obiettivi terapeutici, in un processo che favorisce la costruzione dell’alleanza famiglia-terapeuta.
 

Lo strumento presenta quindi una serie di vantaggi che in qualche modo ne “ammortizzano” i punti di debolezza: la necessità di un setting e di materiale precisi, il lavoro di codifica successivo alla somministrazione.
 

Nato in un contesto di ricerca, il Lausanne Trilogue Play può essere utilizzato in ambiti differenti: oltre a quello terapeutico sopra accennato, trova ampia diffusione nelle Consulenze Tecniche d’Ufficio per la valutazione delle competenze genitoriali, nei programmi di sostegno alla genitorialità, negli interventi di Spazio neutro sia come mezzo di valutazione che di promozione di un cambiamento.
 


Bibliografia    

  • Corboz- Warnery A., Fivaz Depeursinge E., (2000), Il triangolo primario, Raffaello Cortina Editore, Roma   
  • Malagoli Togliatti M., Mazzoni S., (2006) Osservare, valutare e sostenere la relazione genitori- figli, Raffaello Cortina Editore, Roma    
  • Simonelli A., Bighin M., De Palo F., (2012), Il Lausanne Trilogue Play, Raffaello Cortina Editore, Roma
     
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