Lo spunto per la riflessione viene offerto dai diversi eventi di cronaca nera che hanno visto vittime donne uccise da compagni, fidanzati, mariti.
Ci si chiede il perché senza tergiversare troppo su questioni ‘scontate’ e andando dritto al ‘cuore’ del problema di cui l’uomo è portatore: le sofferenze relazionali primarie informano i nostri modelli interpersonali nel ‘qui e ora’. Il ruolo patogenetico dei ‘cattivi’ genitori. Si propone, inoltre, il ruolo culturale nell’espressione dell’aggressività.
C'è senza dubbio una recrudescenza di omicidi in cui le vittime sono donne, come leggiamo dalle cronache nere di questi ultimi tempi.
E del resto il termine 'femminicidio' esprime la volontà del legislatore di sanzionare in modo esemplare questi casi.
Era ora, molti penseranno con soddisfazione.
Si spera che ciò possa essere un valido deterrente. Purtroppo, a mio avviso, ancora una volta, non sarà così. Basti pensare che in alcuni stati americani, in cui vige ancora la pena di morte, i 'futuri candidati alla iniezione letale' non sono affatto dissuasi da questo 'estremo provvedimento'.
Peccato che nessuno sembra avere la minima idea di cosa scateni la follia omicidiaria.
Infatti, in molti casi, se non in tutti, la follia scatta perché il soggetto non riesce a tollerare di perdere la persona ‘amata’. In altre parole, non si è in grado di tollerare la perdita dell'altro il quale, suo malgrado, diventa un 'sostituto affettivo' di una figura interna fonte di sofferenza e frustrazione. Ciò mette in evidenza il 'ruolo primario' della madre nello sviluppo del futuro adulto. Le relazioni significative precoci influenzano, nel bene e nel male, le nostre relazioni attuali, del momento presente.
In effetti le discussioni sulle cause di tali tragedie sembrano perdersi in discorsi astrusi, fumosi, o meramente filosofici. E invece le radici della violenza, sia essa autodiretta che eterodiretta, vanno rintracciate nella nostra infanzia. Un’infanzia tutt’altro che felice, con buona pace dello stereotipo della famiglia felice come quella, per intenderci, del ‘mulino bianco’.
Il fatto è che, accettare di non essere stati amati e accettati per quello che eravamo, potrebbe comportare una ferita narcisistica e affettiva profonda e un dolore intollerabile che non intendiamo più rivivere e che allora rimuoviamo. In questo modo saremo preda del freudiano ‘ritorno del rimosso’ per cui la sofferenza cacciata dalla porta rientra dalla finestra. Risultato: vivremo nel ‘qui e ora’ una realtà del ‘lì e all’ora’ e a pagarne le spese saranno le persone con cui interagiamo nella vita quotidiana. Gli psicoanalisti ortodossi ritengono che nell’uomo alberghi una certa quota di distruttività (non parlo di aggressività), in un modo che viene reso bene dal vecchio proverbio latino ‘homo homini lupus’ (l’uomo è un lupo per l’uomo).
Ma è davvero così?
Davvero gli esseri umani sono affetti da una intrinseca distruttività che le norme culturali e religiose cercano di tenere sotto controllo?
In altre parole secondo alcuni, a partire da Freud, la coscienza umana deve mediare tra due istanze opposte: il super Io e ‘la bestia umana’(l’inconscio pulsionale fatto di istinti sessuali e aggressivi, ovvero l’Es).
Cercherò di rendere conto di un fenomeno criminale che offende ‘il nostro essere umani’ adottando la prospettiva cognitivo evoluzionista del prof. Liotti (2001) e la teoria dell’attaccamento di Bowlby (1969), teoria avvalorata da oltre un ventennio di studi sperimentali, longitudinali e clinici.
Ma vediamo perché sono più frequenti gli omicidi 'femminili' rispetto a quelli 'maschili'.
Gli uomini uccidono le donne perché non riescono a tollerare di essere stati abbandonati.
Non si rendono conto che i propri vissuti di abbandono sono così laceranti e intollerabili perché, in realtà, sono dovuti ad angosce di abbandono pregresse e mai elaborate.
Così accade che un episodio di perdita attuale, come la perdita imminente della propria compagna o moglie che sia, non fa che 'ATTIVARE' schemi di abbandono pregressi che l'adulto, ex bambino negato, si porta dentro non risolti e mai 'mentalizzati'.
Ovviamente ci sono anche casi in cui è la compagna a non riuscire a tollerare la perdita del compagno. Tuttavia è innegabile che tali episodi siano percentualmente molto più ridotti.
Probabilmente ciò è dovuto a due ordini di fattori:
1) la propria compagna viene 'plasmata' dagli schemi relazionali relativi all'esperienze di attaccamento insicuro e frustrato con una madre inadeguata (o chi per essa).
E diciamo pure che è la madre in genere, non il padre, il primo oggetto d'amore del bambino. Infatti, l'imprinting filiale si forma nei primi sei/otto mesi quando a prendersi cura del bambino è soprattutto la madre o 'chi' per lei.
L'importanza dell'imprinting è fondamentale poiché "marca"(to print) il cervello del piccolo che, da quel momento in poi, non cercherà che essa come meta preferenziale di soddisfazione dei suoi bisogni di accudimento, protezione e sostegno.
Certo, più tardi si formerà un legame affettivo molto forte anche col padre, ma l'imprinting fa si che "Il primo amore non si scordi mai" e, se il legame primario è stato fonte di delusione, di svalutazione, di colpa e frustrazione succede che questa sofferenza legata alla relazione primaria "non si scorderà mai".
Non solo, poiché le nostre relazioni adulte risentono e sono letteralmente "plasmate" da quelle pregresse, la propria compagna diventerà un 'sostituto' materno e ci aspetteremo da lei (in modo inconsapevole) di essere prima o poi abbandonati. E i casi di gelosia patologica o ossessiva nonché di vera paranoia sono, spesso, causa di omicidi.
In questo modo si comprende come un legame attuale sia 'informato' da aspettative e previsioni che hanno la loro origine in un altro tempo e in un altro luogo.
2) Non dimentichiamoci che la società è, malgrado gli ostentanti progressi nell'acquisizione di diritti delle donne, tutt’ora maschilista. Infatti, non è un caso se, ancora oggi, gli uomini che ‘vanno a donne’ sono "veri maschi" mentre se lo fanno le donne sono "poco di buono".
Non solo, sentiamo spesso parlare della prostituzione come 'mestiere più vecchio del mondo'. Nella cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre, secondo la tradizione ebraico-cristiana, è la donna ad offrire il frutto proibito all’uomo. Nella creazione invece, Dio crea la donna da una costola di Adamo.
Insomma la misoginia è presente (soprattutto) nelle istituzioni religiose, perno e fulcro di quelle sociali. Del resto anche la psicoanalisi, al suo sorgere, non si è discostata molto da questa ‘visione svalutante’ della donna: basti leggere gli scritti di Freud sulla presunta ‘passività femminile’. Ma la smettiamo di derubricare le donne a 'esseri di serie B'? Certo le donne occupano, nelle culture occidentali, posizioni sempre più rilevanti. Tuttavia ci sono ‘grosse sacche di dominio maschilista’ dure a morire le quali, proprio perché più velate e meglio dissimulate, sono difficili da estirpare. Se poi guardiamo al mondo islamico, comprendiamo come essi stiano vivendo il suo ‘medioevo’ in cui la donna è un dominio esclusivo del maschio. A suo 'uso e consumo’.
Per questo motivo nella nostra società esiste ancora, come retaggio di questi 'disvalori culturali', il concetto di 'POSSESSO' della donna.
Cioè: tu sei mia e se non lo vuoi essere non sarai di nessuno! Naturalmente, il motivo per cui gli uomini uccidono e sopprimono a cuor leggero i propri simili, prescindendo dal genere, sta nell’esperienza di assoluta mancanza di rispetto che molto presto i bambini devono subire. In questi casi la 'vittima INCONSAPEVOLE' diventerà carnefice.
Non dimentichiamo che la rabbia che il bambino ha dovuto rimuovere, diventa distruttività.
La violenza è una ‘perversione’ della normale aggressività umana. Essa fa riferimento all’aggressività umana privata del suo ruolo funzionale, fine a se stessa. Infatti, non va confusa l’aggressività ‘competitiva’ da quella ‘distruttiva’: la prima ha come meta la definizione dei rapporti di rango, per cui è funzionale alla sopravvivenza e al benessere di una collettività nel momento in cui è finalizzata a ‘mettere la persona giusta al posto giusto’.
L’aggressività rivolta verso i propri simili è mera distruttività senza fine né scopo.
Pertanto la distruttività umana è una degenerazione della normale rabbia umana che non ha potuto esprimersi in modo funzionale nel momento in cui è stata attivata dall'incapacità di amare della figura primaria.
Perciò l’aggressività umana è 'secondaria' a pregresse frustrazioni non elaborate.
Altrimenti il detto "Occhio per occhio dente per dente" renderebbe l’umanità cieca, alla faccia della sopravvivenza della specie!
BIBLIOGRAFIA
Ci si chiede il perché senza tergiversare troppo su questioni ‘scontate’ e andando dritto al ‘cuore’ del problema di cui l’uomo è portatore: le sofferenze relazionali primarie informano i nostri modelli interpersonali nel ‘qui e ora’. Il ruolo patogenetico dei ‘cattivi’ genitori. Si propone, inoltre, il ruolo culturale nell’espressione dell’aggressività.
C'è senza dubbio una recrudescenza di omicidi in cui le vittime sono donne, come leggiamo dalle cronache nere di questi ultimi tempi.
E del resto il termine 'femminicidio' esprime la volontà del legislatore di sanzionare in modo esemplare questi casi.
Era ora, molti penseranno con soddisfazione.
Si spera che ciò possa essere un valido deterrente. Purtroppo, a mio avviso, ancora una volta, non sarà così. Basti pensare che in alcuni stati americani, in cui vige ancora la pena di morte, i 'futuri candidati alla iniezione letale' non sono affatto dissuasi da questo 'estremo provvedimento'.
Peccato che nessuno sembra avere la minima idea di cosa scateni la follia omicidiaria.
Infatti, in molti casi, se non in tutti, la follia scatta perché il soggetto non riesce a tollerare di perdere la persona ‘amata’. In altre parole, non si è in grado di tollerare la perdita dell'altro il quale, suo malgrado, diventa un 'sostituto affettivo' di una figura interna fonte di sofferenza e frustrazione. Ciò mette in evidenza il 'ruolo primario' della madre nello sviluppo del futuro adulto. Le relazioni significative precoci influenzano, nel bene e nel male, le nostre relazioni attuali, del momento presente.
In effetti le discussioni sulle cause di tali tragedie sembrano perdersi in discorsi astrusi, fumosi, o meramente filosofici. E invece le radici della violenza, sia essa autodiretta che eterodiretta, vanno rintracciate nella nostra infanzia. Un’infanzia tutt’altro che felice, con buona pace dello stereotipo della famiglia felice come quella, per intenderci, del ‘mulino bianco’.
Il fatto è che, accettare di non essere stati amati e accettati per quello che eravamo, potrebbe comportare una ferita narcisistica e affettiva profonda e un dolore intollerabile che non intendiamo più rivivere e che allora rimuoviamo. In questo modo saremo preda del freudiano ‘ritorno del rimosso’ per cui la sofferenza cacciata dalla porta rientra dalla finestra. Risultato: vivremo nel ‘qui e ora’ una realtà del ‘lì e all’ora’ e a pagarne le spese saranno le persone con cui interagiamo nella vita quotidiana. Gli psicoanalisti ortodossi ritengono che nell’uomo alberghi una certa quota di distruttività (non parlo di aggressività), in un modo che viene reso bene dal vecchio proverbio latino ‘homo homini lupus’ (l’uomo è un lupo per l’uomo).
Ma è davvero così?
Davvero gli esseri umani sono affetti da una intrinseca distruttività che le norme culturali e religiose cercano di tenere sotto controllo?
In altre parole secondo alcuni, a partire da Freud, la coscienza umana deve mediare tra due istanze opposte: il super Io e ‘la bestia umana’(l’inconscio pulsionale fatto di istinti sessuali e aggressivi, ovvero l’Es).
Cercherò di rendere conto di un fenomeno criminale che offende ‘il nostro essere umani’ adottando la prospettiva cognitivo evoluzionista del prof. Liotti (2001) e la teoria dell’attaccamento di Bowlby (1969), teoria avvalorata da oltre un ventennio di studi sperimentali, longitudinali e clinici.
Ma vediamo perché sono più frequenti gli omicidi 'femminili' rispetto a quelli 'maschili'.
Gli uomini uccidono le donne perché non riescono a tollerare di essere stati abbandonati.
Non si rendono conto che i propri vissuti di abbandono sono così laceranti e intollerabili perché, in realtà, sono dovuti ad angosce di abbandono pregresse e mai elaborate.
Così accade che un episodio di perdita attuale, come la perdita imminente della propria compagna o moglie che sia, non fa che 'ATTIVARE' schemi di abbandono pregressi che l'adulto, ex bambino negato, si porta dentro non risolti e mai 'mentalizzati'.
Ovviamente ci sono anche casi in cui è la compagna a non riuscire a tollerare la perdita del compagno. Tuttavia è innegabile che tali episodi siano percentualmente molto più ridotti.
Probabilmente ciò è dovuto a due ordini di fattori:
1) la propria compagna viene 'plasmata' dagli schemi relazionali relativi all'esperienze di attaccamento insicuro e frustrato con una madre inadeguata (o chi per essa).
E diciamo pure che è la madre in genere, non il padre, il primo oggetto d'amore del bambino. Infatti, l'imprinting filiale si forma nei primi sei/otto mesi quando a prendersi cura del bambino è soprattutto la madre o 'chi' per lei.
L'importanza dell'imprinting è fondamentale poiché "marca"(to print) il cervello del piccolo che, da quel momento in poi, non cercherà che essa come meta preferenziale di soddisfazione dei suoi bisogni di accudimento, protezione e sostegno.
Certo, più tardi si formerà un legame affettivo molto forte anche col padre, ma l'imprinting fa si che "Il primo amore non si scordi mai" e, se il legame primario è stato fonte di delusione, di svalutazione, di colpa e frustrazione succede che questa sofferenza legata alla relazione primaria "non si scorderà mai".
Non solo, poiché le nostre relazioni adulte risentono e sono letteralmente "plasmate" da quelle pregresse, la propria compagna diventerà un 'sostituto' materno e ci aspetteremo da lei (in modo inconsapevole) di essere prima o poi abbandonati. E i casi di gelosia patologica o ossessiva nonché di vera paranoia sono, spesso, causa di omicidi.
In questo modo si comprende come un legame attuale sia 'informato' da aspettative e previsioni che hanno la loro origine in un altro tempo e in un altro luogo.
2) Non dimentichiamoci che la società è, malgrado gli ostentanti progressi nell'acquisizione di diritti delle donne, tutt’ora maschilista. Infatti, non è un caso se, ancora oggi, gli uomini che ‘vanno a donne’ sono "veri maschi" mentre se lo fanno le donne sono "poco di buono".
Non solo, sentiamo spesso parlare della prostituzione come 'mestiere più vecchio del mondo'. Nella cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre, secondo la tradizione ebraico-cristiana, è la donna ad offrire il frutto proibito all’uomo. Nella creazione invece, Dio crea la donna da una costola di Adamo.
Insomma la misoginia è presente (soprattutto) nelle istituzioni religiose, perno e fulcro di quelle sociali. Del resto anche la psicoanalisi, al suo sorgere, non si è discostata molto da questa ‘visione svalutante’ della donna: basti leggere gli scritti di Freud sulla presunta ‘passività femminile’. Ma la smettiamo di derubricare le donne a 'esseri di serie B'? Certo le donne occupano, nelle culture occidentali, posizioni sempre più rilevanti. Tuttavia ci sono ‘grosse sacche di dominio maschilista’ dure a morire le quali, proprio perché più velate e meglio dissimulate, sono difficili da estirpare. Se poi guardiamo al mondo islamico, comprendiamo come essi stiano vivendo il suo ‘medioevo’ in cui la donna è un dominio esclusivo del maschio. A suo 'uso e consumo’.
Per questo motivo nella nostra società esiste ancora, come retaggio di questi 'disvalori culturali', il concetto di 'POSSESSO' della donna.
Cioè: tu sei mia e se non lo vuoi essere non sarai di nessuno! Naturalmente, il motivo per cui gli uomini uccidono e sopprimono a cuor leggero i propri simili, prescindendo dal genere, sta nell’esperienza di assoluta mancanza di rispetto che molto presto i bambini devono subire. In questi casi la 'vittima INCONSAPEVOLE' diventerà carnefice.
Non dimentichiamo che la rabbia che il bambino ha dovuto rimuovere, diventa distruttività.
La violenza è una ‘perversione’ della normale aggressività umana. Essa fa riferimento all’aggressività umana privata del suo ruolo funzionale, fine a se stessa. Infatti, non va confusa l’aggressività ‘competitiva’ da quella ‘distruttiva’: la prima ha come meta la definizione dei rapporti di rango, per cui è funzionale alla sopravvivenza e al benessere di una collettività nel momento in cui è finalizzata a ‘mettere la persona giusta al posto giusto’.
L’aggressività rivolta verso i propri simili è mera distruttività senza fine né scopo.
Pertanto la distruttività umana è una degenerazione della normale rabbia umana che non ha potuto esprimersi in modo funzionale nel momento in cui è stata attivata dall'incapacità di amare della figura primaria.
Perciò l’aggressività umana è 'secondaria' a pregresse frustrazioni non elaborate.
Altrimenti il detto "Occhio per occhio dente per dente" renderebbe l’umanità cieca, alla faccia della sopravvivenza della specie!
BIBLIOGRAFIA
- J. Bowlby- Attaccamento e perdita- 3voll. Bollati Boringhieri - Una base sicura- Ed. Cortina
- G. Liotti- Le opere della coscienza- ed. Cortina - La dimensione interpersonale della coscienza- Ed. Carocci
- D. Stern- Il momento presente- Ed. Cortina
- Caretti/Craparo- Trauma e psicopatologia
- G. Attili-Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente-Ed. Cortina
- A. Miller- La persecuzione del bambino- Bollati Boringhieri
- A. Miller - La rivolta del corpo- Ed. Cortina
- Cancrini/Biondi- Una ferita alle origini- Ed. Borla
- Luigi Cancrini- La cura delle infanzie infelici- Ed. Cortina
- A. Lia- Abitare le menzogna- Nuovi Equilibri
- Strocchi/Jodice- Onora il padre e la madre…quando lo meritano- Positive Press