L'associazione
Pillole di Libri
Libri da leggere, libri da scoprire...
In questa sezione vi proponiamo alcuni testi che abbiamo amato o che ci sembra interessante condividere e far conoscere.
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- Scritto da Dr.ssa Laura Catalli
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- Categoria: Pillole di Libri
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Autore: Matthew Pearl
Titolo: Il circolo Dante
Casa editrice: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2003
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- Scritto da Claudia Catalli
- Categoria principale: Articoli
- Categoria: Pillole di Libri
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{tab=Recensione}
Lisbona, agosto 1938.
La sedentaria e sempre uguale vita di un noto giornalista portoghese, subisce una svolta decisiva nell’incontro con due ragazzi sovversivi. Punto, fine dalla storia.
La trama di “Sostiene Pereira” è così semplice da lasciarsi facilmente riassumere in queste poche righe. Disarmante, deludente… eppure affascinante: così facendo Antonio Tabucchi, non fa che ammiccare complice al suo lettore pretendendolo attento quanto appassionato, come per sfidarlo a carpire anche il più profondo significato nascosto fra le righe o inaspettatamente raggomitolato fra le pieghe delle sue pagine. Già perché l’autore di Sostiene Pereira per lo più allude, accenna, insinua, in un rispetto del fruitore e degli stessi personaggi che si fa a dir poco totale: non troverete mai un suo personale giudizio, una sua intromissione, un suo commento esplicito. E con buona pace –permettetemi un breve excursus filosofico- dell’anima di Croce: “Sostiene Pereira” rappresenta proprio l’opposto dell’opera ideale crociana, della famosa teoria del nesso dei distinti: arte, logica, economia, etica…tutto è fuso e confuso nell’opera di Tabucchi, con un risultato che non esito a definire pregevole. Pregevole anche grazie al curioso modus narrandi che caratterizza quest’opera: il narratore è sì esterno, ma si fa voce della voce. Mi spiego: la vicenda è presentata come un resoconto del resoconto del protagonista che la vive; esemplificando nella maniera più nitida possibile: gli avvenimenti accadono, Pereira racconta (o meglio sostiene; di qui il titolo, che si ripresenta costantemente in tutto il libro), Tabucchi scrive. E come scrive! Dire “con il cuore” sarebbe retorico scontato banale e chi più ne ha più ne metta, ma in fondo non così lontano dalla pura verità, basti pensare al rapporto che egli riesce a costruire con il protagonista del suo romanzo: Pereira era “solo un personaggio in cerca d’autore. Non so perché scelse proprio me per essere raccontato(…) ma lo accolsi con affetto”. Una relazione d’intimità quasi familiare che viene inevitabilmente trasmessa al lettore; non si può, francamente, non provare un’irrefrenabile simpatia per il caro vecchio Pereira, peraltro descritto secondo parametri lontani dal tradizionale, che tuttavia mirano a concentrare l’attenzione del lettore sui particolari, anche e soprattutto quelli apparentemente insignificanti. Di Pereira rimarrà sempre, benché sfocata, l’immagine di un intellettuale grassoccio e cardiopatico un po’ avanti con gli anni, cattolico insicuro, vedovo nostalgico, che trascorre le sue giornate in modo invariato, traducendo racconti francesi per la pagina culturale del giornale portoghese “Lisboa” (di cui è divenuto da poco il direttore, dopo trent’anni di esperienza di cronaca nera), parlando con il ritratto della moglie e bevendo in continuazione spremute di limone.
Eppure non avremo mai una nitida focalizzazione del personaggio. Non si sa il suo nome, che non viene neanche lontanamente accennato nel corso dei ben venticinque capitoli in cui si articola il romanzo; e non abbiamo modo di sapere con esattezza qualcosa, che so, della sua infanzia o giovinezza ad esempio, né di ricostruirne un ritratto fisico preciso. Tabucchi sceglie di lasciarci in preda alla nostra immaginazione, senza con questo astenersi da descrizioni complete ed esaurienti di momenti fondamentali per la storia, come l’incontro del protagonista con due rivoluzionari decisi a battersi contro la feroce dittatura salazarista portoghese, Marta e Monteiro Rossi. Allora Pereira si troverà di fronte a due giovani pronti a lottare fino all’estremo sacrificio in nome dei loro ideali, due ragazzi che, senza rendersene conto, si dimostreranno capaci di insegnare qualcosa di estremamente importante ad un uomo maturo che, definendoli “ottimisti senza futuro”, s’illudeva di non aver più nulla da imparare, ormai:
“…Marta bevve un sorso di vino di porto e disse: noi non facciamo la cronaca, dottor Pereira, è questo che mi piacerebbe che lei capisse, noi viviamo la Storia”.
Sarà proprio dal casuale contatto con questi due imprevedibili personaggi che la vita di Pereira verrà movimentata, scombussolata, stravolta fino all’estremo del pericolo. E a quel punto il giornalista dovrà decidere se ritornare alla monotona ma sicura vita di sempre, o dire finalmente basta, alzare quella testa che per anni aveva tenuto passivamente abbassata, che aveva annuito ciecamente obbediente ad un governo cruento e magari persino carnefice, e dare così una svolta decisiva alla sua piatta esistenza.
Il libro si rivela pertanto una preziosa fonte d’insegnamenti, tanto dal punto di vista letterario quanto da quello umano; una sorta di cartaceo diffusore di messaggi di fondamentale importanza, un particolare megafono capace di far risuonare forte nelle orecchie dei suoi lettori quest’esortazione: lottare sempre e comunque per ciò in cui si crede. Fino in fondo. E’ questo, il vero evento:
“L’evento è un avvenimento concreto che si verifica nella nostra vita e che sconvolge o che turba le nostre convinzioni e il nostro equilibrio, insomma l’evento è un fatto che si produce nella vita reale e che influisce sulla vita psichica (…), sostiene Pereira.”
{tab=Scheda tecnica}
Autore: Antonio Tabucchi
Titolo: Sostiene Pereira
Casa editrice: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 1994
{tab=Conosci l'autore}
Antonio Tabucchi nasce a Pisa nel 1943. Come "Sostiene Pereira", anche altre sue opere risentono dell'influenza letteraria, sociale e culturale portoghese ("La testa perduta di Damasceno Monteiro", 1997), da sempre interesse preponderante dell'autore. Tabucchi ha infatti tra l'altro curato e tradotto l'edizione italiana dell'opera di Fernando Pessoa e le poesie di Carlos Drummond De Andrade.
Tra i riconoscimenti possiamo ricordare il Premio Campiello ed il Premio Europeo della Letteratura.
Le sue opere divengono non solo lavori cinematografici (oltre al sottocitato film di Faenza, ricordiamo tra l'altro "Piccoli equivoci senza importanza" con Charlotte Rampling e Fabrizio Bentivoglio), ma anche testi teatrali ("I dialoghi mancati", 1998).
Attualmente è docente di Lingua e Letteratura portoghese all'Università di Siena.
{tab=Curiosità}
Nel 1995 Sostiene Pereira diventa un film. Diretto e sceneggiato da Roberto Faenza, vanta tra l'altro un cast importante (Marcello Mastroianni è Pereira, ma ci sono anche Nicoletta Braschi -Marta- e Stefano Dionisi -Monteiro Rossi-) e la straordinaria interpretazione musicale di Ennio Morricone.
{tab=La citazione}
"La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro"
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- Scritto da Dr. Giancarlo Salvadori
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{tab=Recensione}
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche.
E. Montale, meriggiare pallido e assorto, tratto da Ossi di Seppia, Mondadori, 2003
Niente di più efficace che questi versi di Eugenio Montale per descrivere la società di massa. Oggi come non mai vi è una stretta correlazione tra l’uomo e le formiche rosse descritte nella splendida quartina. Gran parte dell’umanità “civilizzata” è quotidianamente impegnata in una febbrile quanto confusa rincorsa, tutto si svolge in maniera veloce, la società pretende rapidità: è questa l’era del turbocapitalismo. L’analista politico – militare Edgar Luttwak ci avvisa che siamo tutti sopra un aereo guidato da un pilota automatico, che acquista sempre più accelerazione ma non si sa dove è diretto.
In questa società apparentemente ordinata ma fondamentalmente caotica si è perso di vista il prossimo. Tendiamo a costruire intorno a noi una gabbia che ci isola e ci difende dall’altro, sia esso il vicino di casa o, addirittura, il figlio, il coniuge, il genitore. Non mancano i casi di cronaca scaturiti da questa condizione.
Scerbanenco aveva colto il cambiamento in corso negli anni ’60 del secolo scorso: una trasformazione che riguardava l’intera società e che di conseguenza interessava anche la maniera di condurre le indagini, le azioni criminali ed i comportamenti delinquenziali.
Proprio in una società che sta iniziando ad incrinarsi è ambientato il libro “I milanesi ammazzano al sabato”. Lo scenario nel quale si muovono i personaggi del noir è l’Italia dei primi elettrodomestici e della corsa alla motorizzazione, di massa anche questa. Sullo sfondo si scorge una Milano insolita, priva della caratteristica nebbia, lontanissima dalla sfolgorante Milano “da bere”; una città in qualche modo amara, così come amara è la vicenda narrata.
L’investigatore è il Commissario Luca Lamberti, medico radiato dall’ordine per aver praticato un’eutanasia, quindi arruolatosi in polizia. Lamberti si trova davanti un’indagine triste e complessa, così come possono essere solo quelle che hanno per vittime persone oggettivamente deboli. Si tratta del rapimento di una ragazza fragile che brutali personaggi privi di scrupoli, approfittando della sua minorità mentale, la inducono a prostituirsi per poi sbarazzarsene nel momento in cui è considerata inutile.
Lamberti dovrà far luce su un caso che racchiude molti drammi: quello di una ragazza bellissima affetta da ritardo mentale, elefantiasi ed ipererotismo; quello di un padre disperato che non riesce a comprendere la lentezza operativa dell’investigazione; quello del poliziotto stesso che, come don Chisciotte, lotta contro i mulini a vento; quello di una città che un giorno, svegliandosi, scopre di non essere più quella di prima; ma soprattutto il dramma di una famiglia che, come accade anche oggi, si ritrova da sola ad affrontare il disagio della malattia mentale. “Vi sono nel mondo centinaia di famiglie, forse migliaia, decine di migliaia, che si tengono in casa figli malati di mente o deformi, focomelici, epilettici, o con perversioni sessuali, dementi. Se li tengono in casa, specialmente se sono povere famiglie, poveri genitori, o di media agiatezza, i ricchi di solito li chiudono nelle cliniche, loro invece nascondono in casa quella che in fondo considerano, oltre che una disgrazia, una vergogna, imboccano giovanotti di venti anni che fanno ancora la pipì a letto, portano in carrozzella mongoloidi ottusi di dodici anni che pesano cento chili e non sanno ancora camminare; si dissanguano per tenere nascosta la disgrazia, per ammorbidirla, per farla apparire agli amici, e ai vicini e conoscenti, come una malattia un po’ lunga, o una cosa normale anche se triste.”
Scerbanenco, amaramente, va anche a toccare tasti dolorosi per chi vive tutti i giorni la realtà delle investigazioni e quanto scriveva quaranta anni fa a maggior ragione vale ancora oggi. E’ cambiato l’hardware, adesso esistono sistemi di comunicazione e banche dati telematiche impensabili in quel periodo, ma le difficoltà pratiche che l’investigatore incontra quotidianamente sono rimaste identiche. Così come appare statica la situazione della giustizia, tanto che quello che l’autore narrava negli anni ‘60 potrebbe essere benissimo l’argomento di conversazione carpito questa mattina, tra due persone, alla fermata dell’autobus: ”Anche l’avessero preso subito, il criminale che l’aveva così mostruosamente uccisa avrebbe avuto pochi anni di condanna, che sarebbero divenuti sempre più pochi in seguito ad amnistie, condoni e grazie varie, e così lo si sarebbe poi rivisto, dopo poco, in giro per qualche baruccio di via Torino o intorno a largo Cairoli, con le basette profilate da uno dei primi parrucchieri di Milano, e con in tasca un centomila estorte a qualche disgraziata a cui erano piaciute quelle basette, quegli occhi da gallina, quel mento sfuggente e quella bocca diritta da cattivo.”
Dopo aver letto questo libro non si rimane quelli di prima, la storia incide profondamente l’anima del lettore: lascia il segno, è un contenitore di pensieri, da meditare e portare con sé.
{tab=Scheda tecnica}
Autore: Giorgio Scerbanenco
Titolo: I milanesi ammazzano al sabato
Casa editrice: Garzanti (collana Gli Elefanti)
Anno di pubblicazione: 1999 (Prima ed. 1969)
{tab=Conosci l'autore}
Nato nel 1911 a Kiev da madre italiana e padre ucraino, il vero nome è Vladimir Scerbanenko, si può considerare il punto di riferimento di tutti gli scrittori italiani del genere noir. Arriva in Italia da bambino, accompagnato dalla madre, in seguito alla fucilazione del padre avvenuta durante la rivoluzione russa. In Italia svolge lavori di operaio tornitore, magazziniere, milite della Croce Rossa. Dopo la seconda guerra mondiale inizia a scrivere collaborando con periodici femminili, dapprima come correttore di bozze, poi come autore di romanzi rosa sino a divenire direttore. Nella sua carriera scrive circa novanta romanzi ed un migliaio di racconti. E’ l’ideatore della figura del Commissario Duca Lamberti.
Nel 1968 con il libro “Traditori tra tutti” (1966) vinse il Grand Prix de Littérature Policière. Muore a Milano nel 1969.
{tab=Curiosità}
Nel 2008, ispirandosi a questo romanzo, gli Afterhours hanno intitolato un loro album I milanesi ammazzano il sabato.
{tab=La citazione}
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